All’alba del 20 marzo 2003, la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invade l’Iraq. Inizia così la Seconda Guerra del Golfo, un intervento giustificato come “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia”. Saddam Hussein era accusato di possedere armi di distruzione di massa e di nascondere militanti di al-qa’ida [al-qa’idah].
Secondo le parole di George W. Bush, la missione militare “Iraqi Freedom” avrebbe combattuto il terrorismo, difeso il mondo da un serio pericolo, esportato libertà, prosperità e laicità. Dal 2003, l’Iraq ha subito un intervento militare, l’insorgenza sunnita contro il governo centrale e le forze americane, una guerra civile, l’occupazione di un terzo del paese da parte dell’organizzazione jihadista Daesh (l’autoproclamato Stato islamico) e una “liberazione” che ha causato decine di migliaia di vittime civili. Contemporaneamente, una vibrante società civile ha difeso i diritti umani con campagne nonviolente, spesso ignorate dalla comunità internazionale.
A quindici anni dall’invasione americana, quattro donne – un’avvocata, un’attivista, un’ingegnera e una madre – raccontano come si vive oggi in Iraq, come la loro vita sia cambiata dopo il 2003, come lottano in una società sempre più patriarcale, alimentata da un clima d’intolleranza tra le comunità, eredità dell’invasione americana e delle politiche settarie adottate dai governi in questi quindici anni.
Tutte hanno sofferto, siano esse sunnite, sciite, cristiane o curde, e tutte, oggi, resistono.